Capitolo 02
Piece of me

‘Piece of me’ di Britney Spears stava risuonando nel locale mentre Chiara e Leila lasciavano la giacca al guardaroba salutando una vecchia conoscenza che lavorava come barista al bancone e facendosi poi spazio tra la gente per cercare qualcuno di conosciuto; oltre ai fratelli e al solito gruppo Leila sapeva che doveva esserci anche qualche suo compagno di università che conosceva i Lesters, il gruppo che avrebbe suonato quella sera e il cui batterista frequentava appunto Giurisprudenza.
“C’è la Ele!” esclamò Chiara indicando una ragazza con i capelli scuri che cercava di portare a uno dei tavoli un vassoio pieno di bicchieri stracolmi di birra “Andiamo a salutarla!”
“Vai avanti, ti raggiungo subito che ho visto i ragazzi dell’uni! Due secondi e arrivo!” rispose Leila mentre l’amica le faceva un cenno con la testa camminando nella direzione opposta alla sua.
La bionda attraversò tutto il locale alzando una mano per attirare l’attenzione di un gruppo di persone sedute attorno a uno dei tavoli sul soppalco; un ragazzo alto dai capelli castani e molto corti alzò la mano in risposta abbozzando un sorriso mentre Leila si avvicinava.
“Ciao gente!” salutò una volta saliti i cinque scalini e arrivata alle spalle degli amici.
“Hey Lia!” la salutarono i suoi compagni di corso, mentre lei si appoggiava alla sedia di Fred dandogli due baci sulle guance per salutarlo.
“Ma tu non avevi detto che avevi da fare?” chiese Nicky, a cui aveva raccontato di William e del fatto che avrebbero dovuto uscire insieme quella sera.
“Programma sfumato!” rispose lapidaria la bionda facendo vagare lo sguardo per il locale fino ad intravedere l’inconfondibile chioma bionda di suo fratello poco più in là.
Si congedò dal gruppo dicendo che sarebbe tornata dopo a bere qualcosa e tornò in pista mentre il DJ cercava di incitare la folla a mettersi a ballare ma con risultati che al momento sembravano abbastanza scarsi; Chiara era già arrivata al tavolo e stava parlando con Ale, una delle ragazze della compagnia di suo fratello che le aveva procurato gli agganci per il lavoro subito dopo la laurea.
Accanto a loro c’erano Ian e Sara: la ragazza dai lunghi capelli biondi stava bevendo qualcosa mentre chiacchierava con Lee, presi tutti e tre in una conversazione che sembrava molto divertente. Leila li stava fissando e non si accorse neanche della persona che dietro di lei stava sorridendo, pregustando lo scherzo che aveva in mente di farle.
In pochi istanti Jamie fece piombare le mani sulle spalle della ragazza che si girò di scatto reprimendo malamente un mezzo urlo mentre lui rideva abbracciandola per impedire ritorsioni fisiche che di certo sarebbero arrivate; Jamie era un compagno del liceo di Ian e Lee, di un anno più grande di loro era stato bocciato in prima superiore ed era poi finito in classe con la coppia di amici.
Esageratamente espansivo e chiacchierone, era una persona decisamente travolgente, il fautore di almeno il settanta percento dei guai in cui Ian e Lee si erano cacciati nella loro vita; aveva lasciato casa sua appena compiuti i diciott'anni a causa di una serie di incomprensioni con il nuovo marito della madre e si era mantenuto fin da subito lavorando in una libreria in centro città.
Dopo aver provato la carriera universitaria per due anni ad Economia e Commercio, aveva abbandonato cercando lavoro presso una banca il cui direttore era un vecchio amico del padre ed erano ormai sei anni che di giorno giocava a fare il distinto signore in giacca e cravatta, Mr Hide, come lo chiamavano tutti, trasformandosi poi subito dopo la chiusura, nel più ben noto Dr Jeckill.
La filiale presso cui lavorava Jamie era, tra l’altro, esattamente nella stessa piazza su cui davano entrambe le facoltà di Leila e Chiara, Legge ed Economia, e nel corso degli anni era ormai diventata un’abitudine quasi per tutti gli studenti vederlo affacciarsi alla finestra del primo piano su cui si trovavano gli uffici direttivi, per salutare le ragazze a voce troppo alta quando si trovavano nel cortile a bere un caffè e, spesso, pochi secondi dopo, lo si vedeva scendere per unirsi in una pausa che durava anche troppo per un qualunque impiegato.
Nessuno riusciva a spiegarsi come in tutti questi anni Jamie non fosse ancora stato licenziato, soprattutto per il fatto che anche dopo tutto quel tempo non gli era ancora entrato bene in testa il concetto di privacy del cliente, e non aveva mai imparato a tenere per sé i commenti sull’ammontare degli assegni che le persone versavano quando faceva il turno allo sportello della filiale.
Leila iniziò a borbottare qualcosa contro di lui finendo col mettersi a ridere non appena lo guardò in faccia. Jamie era contagioso, lo era soprattutto per lei che aveva per il ragazzo una passione smodata: ricordava la prima volta che l’aveva visto entrare in casa lui aveva quindici anni lei neanche dieci, era ottobre, Lee l’aveva conosciuto da poco e lui era entrato in casa con un giubbotto jeans con Eddie, la mascotte degli Iron Maiden disegnata dietro e lei era rimasta incantata a guardare quel mostro orribile finché lui non si era girato e l’aveva salutata.
Leila era scappata in camera sua sbattendo la porta con un tonfo indicibile.
La volta successiva non gli aveva rivolto la parola, pur riuscendo però a restare con lui nella stessa stanza, quella dopo ancora, grazie a Chiara che le aveva detto che secondo lei Jamie era un predofilo, parola che era convinta di aver sentito alla televisione per indicare le persone che, come i predoni, rapivano i bambini sotto i dieci anni, era rimasta ad osservarlo da distante con sguardo truce e quando lui l’aveva salutata prima di andarsene lei gli aveva risposto ‘TU NON MI RAPIRAI’.
Gli anni erano passati, la parola predofilo era scomparsa e Leila era cresciuta sempre attratta da quell’alone di mistero che Jamie emanava inconfondibilmente, insieme a un alone di stupidità a quanto sosteneva Lee, che non aveva mai visto di buon occhio la cotta della sorellina per il più sgangherato dei suoi amici; ma a lei non era mai passata, neanche adesso che aveva quasi venticinque anni ed era perfettamente consapevole che stare insieme a Jamie sarebbe stato un vero e proprio suicidio perché lui era una persona decisamente difficile da inquadrare e da sopportare.
Nonostante questo molti, quasi tutti, Leila compresa, sapevano che se mai Jamie avesse dimostrato un qualche interesse per la ragazza lei difficilmente avrebbe resistito e Chiara, l’amica di sempre, non riusciva a capire perché: Jamie era una sottospecie di scapestrato senza prospettive, uno che non sapeva bene cosa fare della sua vita ma che aveva trovato un lavoro che gli permetteva semplicemente di mantenersi, in maniera ottima per le sue esigenze, senza però dargli prospettive di carriera, e la ragazza, nella sua visione della vita, faceva fatica a concepire una cosa del genere.
Leila invece, d’altro canto, vedeva in Jamie una sorta di speranza, uno che, nonostante tutto, aveva trovato un posto per se stesso e stava vivendo la sua vita in un modo che sembrava soddisfarlo pienamente, al momento, tanto da non portarlo a farsi chissà quali problemi per il futuro; certo poteva ritenersi un comportamento molto immaturo e infantile e, anzi, probabilmente lo era, ma anche Leila, sotto questo punto di vista, lo era allo stesso modo;  si sentiva ancora piccola e piccola voleva rimanere, crescere avrebbe portato troppe responsabilità che la spaventavano anche troppo, e al momento voleva pensare che anche lei avrebbe trovato la sua strada, per quanto piccola, per vivere senza rimpianti o paure, almeno per un po’.
“Ciao Lalla!” la salutò il ragazzo passandole un braccio sulle spalle per portarla con sé verso il resto del gruppo, Lalla era un soprannome odioso, che le era stato affibbiato da Jamie quando, la prima volta che aveva parlato con lui, aveva balbettato l’articolo ‘la’ un paio di volte, e nessuno era più riuscito a togliergli dalla testa quelle stupide due sillabe.
“Ciao, grazie per l’infarto!” rispose lei cercando di guardarlo male, ma con scarsi risultati. Jamie non era tanto più alto di lei, anzi, erano praticamente identici, ma comunque, nonostante l’espressione gioviale e divertita, era difficile che si facesse incutere timore da una come Leila in queste occasioni, anche se era perfettamente conscio del fatto che le vendette della ragazza erano epiche, le aveva sperimentate sulla sua pelle insieme ai suoi degni compari, Ian e Lee.
“Ciao Leila!” la salutò Sara, la ragazza bionda che stava al fianco di Ian con un braccio attorno alla sua vita e un sorriso soddisfatto. Quando l’aveva conosciuta, Leila aveva quasi sperato che fosse suo fratello a uscirci perché le piaceva molto come tipo, ma alla fine Sara si era dimostrata molto più interessata a Ian e Lee invece non si era dimostrato per niente colpito da lei.
Lee era strano.
Strano era lui e strani erano i suoi gusti.
Era stato per quattro anni con una ragazza, Martine, occhioni verdi e capelli ramati, una di quelle bellezze che difficilmente si vedono in giro: la pelle candida e...  un temperamento a cui era difficile stare dietro, ma lui ci era riuscito. Si incontravano e si scontravano, per un periodo, tre anni prima avevano anche pensato di andare a vivere insieme, ma poi l’idea era sfumata, fortunatamente, visto che pochi mesi dopo lei era partita in Erasmus per la Spagna, sei mesi all’estero che avevano messo a dura prova un rapporto che aveva già iniziato a incrinarsi per molti altri motivi e che, alla fine, era naufragato.
Lee non l’aveva presa bene, anzi, l’aveva presa molto, molto male: una mattina Leila l’aveva trovato in camera sua a ridipingere le pareti di blu scuro, perché quei muri, una volta di un classico bianco candido, erano stati testimoni della sua storia con Marty e lui voleva cancellare ogni traccia di quella ragazza dalla sua vita. Quel giorno Chiara era a dormire da loro e, dopo aver preso un pennello, anche le due ragazze avevano iniziato a ricolorare le pareti senza fare troppe domande, perché Lee era, sotto molti punti di vista, ermetico e riservato quanto una cassaforte e oscurare quei muri era il suo modo di esprimere rabbia, dolore e frustrazione, lì dove le persone normali avrebbero pianto o si sarebbero infuriate.
Ma Lee era strano.
Aveva i suoi rituali, le sue paturnie, le sue fissazioni, non mangiava cioccolata perché il burro di cacao e gli zuccheri facevano male alla pelle, però era capace di finire due o tre etti di caramelle gommose in meno di dieci minuti; non gli piaceva l’origano sulla pizza ma lo metteva copiosamente sulle bruschette al posto del basilico; odiava il succo d’arancia e lo beveva solo se corretto con il Martini.
Lee era strano.
Poteva stare una settimana senza quasi parlare e poi tenerti sveglio una notte solo perché aveva miliardi di dettagli da raccontare, poteva dimenticarsi di guardare C.S.I. per più di due mesi e poi recuperare tutte le puntate perse in una sola notte andando poi al lavoro senza aver chiuso occhio; non si vestiva mai in giacca e cravatta per lavoro neanche quando doveva andare dai clienti, ma lo faceva la sera per qualche festa o solo perché gli andava.
Genio e sregolatezza, dicono alcuni. Leila lo riteneva solo un eccentrico, ma non in senso cattivo, uno a cui piaceva vivere secondo alcuni standard ben precisi per quanto questi fossero particolari o fuori dal comune.
Per questo non avrebbe mai potuto piacergli un tipo come Sara, perché era semplicemente bella senza niente di veramente particolare, per lui.
I grandi occhi castani e i capelli morbidi e lunghi, un sorriso contagioso e solare che sembrava non nascondere niente, la parlantina spedita, un fisico che non lasciava nulla a desiderare, nei particolari era bellissima, nell’insieme anche, ma mancava di qualcosa, di una scintilla che Lee doveva trovare nelle persone, nelle ragazze, perché potessero piacergli.
Il discorso non valeva per Ian.
I due erano molto differenti; Ian era quello sempre in movimento, senza radici, senza un vero e proprio lavoro, senza una visione completa di se stesso e quindi lui, in una persona come Sara, ci vedeva appunto qualcosa di normale, una stabilità che da solo non riusciva a trovare, che aveva bisogno di cercare altrove, nelle persone di cui si circondava: per gli amici c’era Lee, per le ragazze c’erano tutte quelle a cui si presentava, ma che spesso, vuoi per caso, vuoi perché era lui stesso a cercarle così, erano troppo simili a lui e per questo il più delle volte le sue storie finivano ancora prima di iniziare.
In quel momento, mentre beveva l’ennesima birra della serata, con quella ragazza vicino Ian si sentiva abbastanza tranquillo, come non si sentiva tanto spesso, in attesa di veder suonare un gruppo di amici il cui sound era decisamente il suo genere, in mezzo alla compagnia di sempre, a chiacchierare del più e del meno Ian si sentiva decisamente a suo agio.
Le luci si spensero e il Dj fece scemare il disco che stava pompando dalle casse del locale, sul palco avevano preso posto i componenti della band, un gruppo di cinque ragazzi che suonavano spesso in serate del genere e che erano molto apprezzati nella zona; la cantante, Nora, era una ex compagna di classe di Leila, gira e rigira si conoscevano tutti, la loro era una città piccola e non era difficile ritrovarsi la sera in un posto piuttosto che in un altro seduti a qualche tavolo insieme grazie ad amici o conoscenze comuni.
Le prime note di ‘Flying high (right above the sky)’ iniziarono a risuonare per il locale mentre tutti applaudivano incitando il gruppo; Chiara prese Leila per un braccio, quella era una delle sue canzoni preferite e voleva assolutamente andare a ballare insieme all’amica che, dopo aver rubato la birra dalle mani del fratello, si precipitò in pista senza farselo ripete due volte.

Don’t believe in what you see
Close your eyes, scream and then breathe
This is the only escape my dear
The darkness wont’ let you go, that you know
Just jump high and hope to fly

Le due ragazze ballavano cantando a squarcia gola, seguite poco dopo da un altro folto gruppo di persone, incapaci di resistere al sound che sembrava travolgere ogni individuo nel raggio di chilometri.

Because what you see it’s not what you get
It’s just what they want you to believe
Nothing ventured nothing gain
Now jump my dear jump and try
Try to fly high right above the sky

Era una serata qualunque, in cui tra vecchie e nuove conoscenze tutti salutavano il weekend che stava per iniziare, il venerdì sera era la serata preferita di Chiara, si sentiva finalmente libera dal tran tran settimanale, libera di sgombrare la testa da tutto per potersi concentrare un po’ sul divertimento; non che durante la settimana fosse così brava e diligente da recludersi in casa e andare a letto presto, anzi, all’università riusciva ancora a obbligarsi a farlo, ma da quando lavorava alle serate con i suoi ormai ex compagni di corso, a quelle con Leila, a quelle con il gruppo dei fratelli si erano aggiunte quelle con i colleghi di lavoro, e, avendo appena iniziato la sua carriera in quel posto, non poteva certo tirarsi indietro.
Avrebbe significato isolarsi, farsi pochi amici e invece le persone con cui si trovava fianco a fianco le andavano quasi tutti a genio e quindi, quando si organizzava qualcosa, era sempre la prima ad aggregarsi al gruppo; se di indole era una ragazza molto riservata aveva però anche una tenacia e una forza di volontà non indifferenti, e, conscia della propria timidezza, cercava di spronarsi a essere più estroversa possibile, senza esagerare e, per questo, risultava essere una persona che piaceva a tutti, indiscriminatamente.
Non era mai impicciona o invasiva, aveva un carattere discreto ma ironico che nascondeva una leggera punta di follia che prendeva il sopravvento nei momenti più opportuni, quelle delle feste, e degli scherzi: per questo era una persona che appariva come molto pacata e responsabile quando doveva esserlo, ed estremamente vivace quando poteva permetterselo.
Quella sera era semplicemente di buon umore, aveva staccato dal lavoro prima del solito e aveva fatto la strada di casa con Ben, lui le aveva gentilmente offerto un passaggio e questa cosa era bastata a stamparle un sorriso in volto per tutto il resto della serata.
Ben era un suo collega, il responsabile del reparto di contatto con la Gran Bretagna, 28 anni, nato a Vienna ma cresciuto in Italia, aveva subito catturato l’attenzione di Chiara per il suo modo di fare: ricopriva un incarico molto prestigioso, uno di quegli incarichi che ci si sarebbe aspettati di veder assegnati a distinti quarantenni in giacca e cravatta e non a un ragazzo dagli occhi incredibilmente chiari che il primo giorno si era presentato con un maglione viola chiaro e scarpe da ginnastica in tinta, attirando subito l’attenzione della popolazione femminile dello studio.
Era spigliato, anche troppo, vagamente arrogante e troppo sicuro di sé, ma molto educato e con Chiara, che aveva avuto da fare con lui per la sua prima campagna di marketing, si era dimostrato estremamente educato e gentile, cosa che, neanche a dirlo, aveva fatto breccia nella parte romantica della ragazza dai grandi occhi verdastri.
Aveva provato a chiedere cosa faceva quella sera, scoprendo che aveva dei programmi, sui quali era stato molto vago, Chiara si era guardata intorno tutta la sera, lo Shiraz era un posto frequentato da molti ragazzi della loro età e lei sperava di vederlo comparire da qualche parte se non altro perché non aveva ancora avuto l’occasione di frequentarlo fuori dallo studio, essendo stato assunto poco più di un mese prima, e una parte del suo subconscio sperava di farsi vedere da lui in tenuta diversa da quella che indossava solitamente al lavoro, sperava di farsi vedere come Chia quella spigliata e non solo professionale.
Ma ancora non aveva avuto quella piccola fortuna.

01 | 02 | 03 | 04